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Quella strana notte al Savoy

SANREMO
«Ciao amore ciao»: con questa canzone Luigi Tenco saluta la vita. È la sera del 27 gennaio 1967. Al Festival non canta bene. È depresso, sente la sconfitta e durante l’esibizione insiste quasi con rabbia su due versi: «Sapere se domani si vive o si muore». Una premonizione? Sul palco un Tenco stravolto, catatonico, svuotato di energie e con i riflessi spenti. Gli applausi del pubblico sono smorti, come il suo spirito. Ma Dalida riscuote un notevole successo. Una canzone bella, che non tutti riescono a capire: Luigi invece era convinto del successo. Poi, il dramma. Bocciato dalla giuria del 17º Festival Tenco si uccide con un colpo di pistola alla testa. Da solo, nella camera numero 219 della dependence dell’Hotel Savoy. Prima beve una mezza bottiglia di grappa, poi ingerisce un intero flacone di Pronox, un tranquillante al quale ha fatto ricorso più volte. Nessuno sente il colpo della Walther PPK calibro 7,65 che aveva acquistato un anno prima «per difesa personale». Si uccide, Tenco, ma prima scrive un biglietto di poche righe. Un micidiale atto di accusa contro la spietata macchina del Festival: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente 5 anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno». È Dalida, sua partner sul palcoscenico del Salone dei Festival del casinò a trovare il corpo senza vita. Sono le 2,20 della notte. La cantante francese è andata a cena con gli amici. Al suo rientro in albergo passa davanti alla camera di Tenco, vede filtrare la luce da sotto la porta e bussa. Nessuna risposta. La porta è aperta. Entra. Disteso a terra, vicino al letto, c’è il corpo senza vita dell’amico con ancora la pistola stretta in pugno. Un lago di sangue si allarga sul pavimento. Dalida getta un urlo. È terrorizzata, sconvolta. Accorre Lucio Dalla. Si diffonde l’allarme. «Tenco si è ucciso»: una frase lapidaria che passa di bocca in bocca. Dalla, preso dall’emozione, crolla su una sedia. Non riesce più a dire una parola. Accorre il personale dell’albergo, poi arriva la polizia. I giornalisti piombano nella dependence. Gianni Ravera, patron di quella edizione, è sconvolto. Indagini, accertamenti della «scientifica», poi il corpo senza vita del cantautore viene trasferito alla Morgue. E qui nasce un mistero: il ritorno del cadavere al Savoy per esigenze televisive. Leggenda, verità? Tenco se ne va a 28 anni. I funerali si tengono il 30 gennaio a Ricaldone, paese d’origine della madre: a lei, con una pietosa bugia, dicono che il figlio è morto in un incidente stradale. Ai funerali qualcuno accenna il ritornello di «Ciao amore ciao».

articolo tratto da "La Stampa" di Torino del 02/03/2004  

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