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L’ULTIMO MESSAGGIO AL POPOLO DEL FESTIVAL:

«HO VOLUTO BENE AL PUBBLICO ITALIANO». IL CASO RIAPERTO DALLA PROCURA DUE ANNI FA, MA LA SALMA NON E’ STATA ANCORA RIESUMATA «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita» Giulio Gavino



articolo del 25/1/2005



SANREMO

«Se sapessi come fai/a fregartene così di me/se potessi farlo anch'io/ogni volta che tu giochi col nostro addio». Trentotto anni fa, la notte del 27 gennaio ‘67, Luigi Tenco non «giocò con l’addio» come in quella sua canzone malinconica. Uno sparo nella dependance dell’Hotel Savoy, camera 219, con il Festival in pieno svolgimento, mise fine alla sua vita. La gara canora continuò e vinsero, nell’allora salone delle feste del casinò, Claudio Villa e Iva Zanicchi con «Non pensare a me». «Ciao amore ciao», che Tenco aveva cantato con Dalida», era stata bocciata. Per lui niente finale. Nel biglietto trovato in quella camera d’hotel sporca di sangue, e testimone tra l’altro del «balletto» del cadavere prima rimosso e poi riportato in albergo per «esigenze televisive», scrisse: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perchè sia stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale (Orietta Berti & Les Compagnos de la Chanson ndr.) e una commissione che seleziona “La Rivoluzione” (Gianni Pettenati & Gene Pitney). Spero che riesca a chiarire le idee a qualcuno. Ciao Luigi».
Suicidio per protesta. Incomunicabilità, incomprensione? Vennero date tante chiavi di lettura a quella morte. Ma vennero riletti soprattutto gli atteggiamenti di Tenco a quel Festival di Sanremo (che vide tra l’altro il debutto di un giovanissimo Mick Jagger). Un frase pare detta da Tenco a Mike Bongiorno prima di salire sul palco «canto questa e poi ho finito, o la faccio finita». Una notte passata al tavolo verde del casinò. Un litigio con Dalida, sua compagna. E poi una pistola comparsa e ricomparsa sulla scena del crimine (una Walter Ppk «diventata» una calibro 22). E fu sull’onda di questo dettaglio che si arrivò anche a parlare di omicidio. Di trame oscure dietro la morte di Tenco. Due anni fa, a fronte di un’indagine giornalistica, il procuratore di Sanremo aveva aperto una nuova inchiesta. Uno, il nodo da sciogliere. Tenco era regolarmente in possesso di un’arma. La notte dell’omicidio il proiettile gli era rimasto nel cranio. Unica soluzione: riesumare la salma e verificare il calibro. Ma quell’ordine, dalla procura di Sanremo, fino ad oggi non è mai partito. Giovedì saranno 37 anni che Tenco non c’è più. A rileggere i testi delle sue canzoni d’amore, che parlano di emozioni vere e vive, di cuori che aspettano l’amore e per l’amore lottano, sembra quasi di leggere poesie. Un poeta che vive, almeno per chi condivide che la vita non sia solo «Io tu e le rose».



articolo tratto da "LA STAMPA" nel Web

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