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TENCO AVEVA PERDUTO IL GUSTO DI VIVERE

Per il giovane cantautore Luigi Tenco la canzone era l'unica maniera di parlare alla gente, con una sincerità quasi sconosciuta in un ambiente dove si bada soprattutto a far soldi. Il motivo presentato a Sanremo avrebbe dovuto essere il suo ultimo disperato messaggio. E così è stato

Sanremo, gennaio

"Per saper se domani - si vive o si muore - e un bel giorno dire basta - e andare via....": con queste parole, con la canzone Ciao amore, ciao, Luigi Tenco ha preso congedo da una vita che non gli aveva dato il gusto di vivere. Il dramma, forse meditato con fredda determinazione, ha avuto tuttavia un epilogo che non voleva perdere tempo, come una sequenza cinematografica girata troppo in fretta: il verdetto sfavorevole delle giurie popolari, il successivo "no" della commissione, (che avrebbe potuto consentirgli l'ultima chanche), il breve tratto di strada dal Casinò all'albergo Savoy (guidava a folle andatura, ormai stravolto, e per poco non andava a sbattere contro un camion), il foglio scritto nella stanza 219 e, infine, il colpo alla tempia.

Dalida, che aveva cantato la sua canzone, voleva essergli vicina, dirgli che si può anche perdere, che un festival è fatto non soltanto di consensi. La cantante era andata nella sua stanza, e lo aveva trovato riverso a terra, con un rivolo di sangue che colava dalla tempia. Un gesto assurdo, un effetto sproporzionato alle cause. La sua ultima protesta, Tenco l'aveva scritta in quel foglio, la delusione amara di una fatica non riconosciuta, cinque anni di lavoro spesi inutilmente. "Hanno preferito 'La rivoluzione'" c'era scritto nel foglio, come a dire che - ancora una volta - aveva dovuto cedere il passo a una canzone commerciale, costruita soltanto per la cassetta.

Tenco era un introverso, un carattere chiuso, di quelli che bisogna strappargli le parole di bocca. Non voleva parlare di nessuno, e tanto meno di sé e della sua vita privata. Né gli interessava di sapere quello che dicevano di lui. Lo conoscevo da qualche anno, ma non si era mai aperto ad una confidenza. Occorreva scavare nel suo silenzio, ed erano sempre discorsi amari, come l'anno scorso, - a Roma - quando mi disse che nel mondo della canzone non c'è posto per chi lavora seriamente.

Prima di venire a Sanremo, l'avevo incontrato - un mese fa - durante una serata jazzistica. Gli avevo detto che la sua canzone mi era piaciuta, e per la prima volta, lo avevo visto sorridere. Credeva molto in 'Ciao amore, ciao', come del resto la sua Casa discografica. "Chissà se sarà la volta buona", mi aveva detto stringendomi con forza la mano. Poi aveva aggiunto: "ma non ho mai avuto fortuna". Ed era tornato improvvisamente serio.

Prima di entrare nel mondo della canzone, era iscritto alla facoltà di ingegneria. Poi aveva fatto le prime esperienze nei locali da ballo, conoscendo Marcello Minerbi, uno dei 'Marcellos Ferial'. "Se tu non mi avessi insegnato a suonare il sassofono, forse oggi sarei un buon ingegnere", aveva detto ieri sera a Minerbi, tra le quinte del palcoscenico, poco prima di entrare in scena. Se ne stava solo, da parte, come assente a tutto quello che accadeva intorno, e quando Mike Bongiorno gli disse che era arrivato il suo momento, parve non ascoltarlo. Mike lo spinse quasi in scena. "Va bene, canto questa canzone, poi ho finito".

Dieci minuti più tardi, Dalida ripeteva l'accorato motivo. Tenco l'applaudì con calore, anche se avrebbe preferito, un'accentuazione più malinconica. Poi il verdetto senza speranze e la decisione di farla finita.

Non aveva mai studiato musica: suonava ad orecchio, ma la canzone era la sua unica maniera di esprimersi, con una sincerità quasi sconosciuta in un ambiente dove si bada soprattutto a far soldi. A Tenco, del denaro, non importava nulla, ma avrebbe importato molto un riconoscimento per quello che aveva fatto, anticipando tutti gli altri, anche quelli che oggi sono sulla bocca di tutti, i Bob Dylan, le Joan Baez, i Barry McGuire.

Parole come ribellione, anticonformismo, protesta, polemica  sono diventati il pane quotidiano di quasi tutti i giovani cantanti ed autori. E quando non è protesta, è linea verde che non dà fastidio a nessuno, mettiamo i fiori nei cannoni, domani sarà un mondo migliore, il sole dell'avvenire in chiave sentimentale. Non dà fastidio a nessuno e anzi i giovani ci stanno, ma dava fastidio a Tenco che è stato il primo a scrivere canzoni di protesta e a condurre una sua battaglia contro il "perbenismo".

Scriveva canzoni di protesta ma non era il tipo che protestava: anche l'ultima volta, a Roma, si capiva dove avrebbe voluto parare, ma gli sembrava irriguardoso prendersela con qualcuno. Dovetti stuzzicarlo e dirgli che altri stavano percorrendo la sua strada, ma con ben diversi intenti, tuttavia riuscii a cavargli ben poco. Disse che lui avrebbe continuato a fare quello che aveva sempre fatto, non trascurando la nostra tradizione. "Non si può andare sempre dietro a quello che fanno gli altri, in Francia, in Inghilterra e soprattutto in America. Vorrei che il mio tentativo fosse capito".

Non era più l' "arrabbiatissimo" dei primi tempi, ma era rimasto coerente con i suoi propositi. "Ciao amore, ciao" era, senza dubbio , uno dei migliori prodotti di questo festival, la unica canzone di protesta vera, un pezzo beat all'italiana innestato sull'autentico folk-song. Era già molto, conoscendo il suo temperamento, la concessione ad un più facile ascolto nel ritornello molto orecchiabile, "Ciao amore, ciao" che forse avrebbe potuto procurargli qualche più larga adesione.

Dicevamo che era un timido e, forse, un indolente, ma era soprattutto un uomo che non concedeva nulla a nessuno, e tantomeno a se stesso. "Non mi piace fare le serate - diceva - e non mi vedrete mai nei nights". Anche in queste sue repulsioni si differenziava da tutti gli altri che vanno a caccia di serate per arrotondare il conto in banca. Il suo ambiente era il teatro da camera, oppure una di quelle sale discrete e quasi buie dove il suono di una chitarra riesce ancora a creare il silenzio, dove un cantastorie può ancora raccontare i suoi furori e le sue malinconie.

CARLO GIOVETTI


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